Se si fa la media delle età di morte relative ad un certo
periodo, applicando la nota formula:
(dove ei rappresenta l'età di morte e fi il loro numero o
frequenza), il valore attenuto può essere assunto come vita media
nell'intervallo di tempo considerato. Volendo stimare la popolazione in un dato
annoi basta sommare tutti i nati dall'annoi-età media all'annoi.
I nati prima dell'annoi-età media sono da ritenersi
statisticamente deceduti.
C'è solo uno scarto di ± 24 abitanti tra i valori censiti e
quelli stimati (il valore calcolato del 1678 praticamente coincide con il
censito). Le età medie nei tre periodi considerati (v. Fig.1) sono basse perché
il "peso" della mortalità infantile, come si vedrà in seguito, è rilevante. La
curva in Fig.2 è stata tracciata considerando i soli valori stimati senza
immigrazione.
Fig. 2
Le due rette rappresentano il trend negli intervalli
1650-1795 e 1815-1840 e i loro coefficienti angolari (inclinazioni) le velocità
medie di accrescimento della popolazione.
Da una più attenta analisi della curva in Fig.2 si nota che
questa è formata da tratti a forma di S. Nel riquadro di colore rosso è stata
isolata una di queste curve sigmoidi che è tipica di quelle popolazioni isolate
il cui sviluppo è limitato da fattori biotici. La crescita raggiunge un massimo
a metà della curva e poi rallenta fino a fermarsi del tutto o con piccole
oscillazioni negative e positive.
In questi periodi di stasi gli isolani si devono essere
dati da fare per sfruttare maggiormente le risorse disponibili, disboscando e
preparando nuovi appezzamenti di territorio da coltivare, dedicandosi alla
pesca e all'allevamento del bestiame e anche ricorrendo nelle stagioni avverse
alla benevolenza del Granduca. Una volta raggiunto un più alto livello di
organizzazione lo sviluppo riprende, ma nel 1795 allorché gli abitanti
diventarono circa 1200, si verificò un drastico arresto della crescita e la
popolazione scese a 900 unità in soli 15 anni.
Questo tracollo, noto in ecologia come "tracimazione", si
verifica quando la quantità di cibo necessaria per il mantenimento di una data
popolazione (capacità portante) uguaglia il massimo delle risorse disponibili.
In tali condizioni limite qualsiasi perturbazione esterna
come una siccità che possa ridurre il prodotto da raccogliere persino in un solo
anno porterebbe alla malnutrizione o al digiuno un gran numero di individui
esponendoli di conseguenza all'attacco di malattie.
Questo e ciò che accadde al Giglio verso la fine del 1700.
Nel maggio del 1794 il parroco Girolamo Mai in una supplica
al Granduca sollecita l'inizio della costruzione della nuova chiesa del Porto,
progettata dall'ingegner Boldrini già dal 1788, per dare una opportunità di
lavoro agli isolani che a causa della siccità si erano ridotti a mangiare "erbe
cotte nella pura acqua senza olio e senza sale".
Francesco Dini, Provveditore dell'Ufficio dei Fossi di
Grosseto, chiamato in causa, conferma lo stato di estrema indigenza in cui versa
la popolazione dell'isola e appoggia la richiesta del Mai.
Il Sovrano concede il benestare, ma il Cav. Boni, direttore
delle Fabbriche Granducali, rallenta la pratica, perché afferma che se i
gigliesi erano "nell'imminenza del disastro....benché il mare dal centro
dell'isola non sia lontano che poco più di un miglio onde non manca totalmente
né pesce né sale.... ", gli aiuti non sarebbero comunque arrivati in tempo.
Il Boni vuole prendere un po'di tempo per soppesare il
progetto che prevede anche la costruzione di una canonica, a suo parere inutile
e che richiederebbe l'acquisto di un terreno del Francesco Mai.
Nel frattempo i gigliesi muoiono di fame per la perdita del
raccolto (vino, grano, legumi, fichi secchi, ecc.) e per la mancanza delle
risorse alimentari provenienti dal mare. La pesca delle acciughe, praticata
stagionalmente in passato su legni forestieri (in genere livornesi) era fin dal
1677 "decaduta"".Questo fatto concorda con la mancanza di sale che pochi
anni prima doveva essere in piccola parte ricavato in loco dal mare, ma
soprattutto importato dall'Elba per la salatura dei pesci.
Nel 1795 Alessandro Nini, architetto senese in cerca di
commissioni, scrive in una memoria al Cav. Boni che "Al Giglio il mare è
abbondante di pesce ma pochissimi sono i paesani che vadino a pescare..." e
questo perché il Porto non dispone di un molo sicuro dove tenere le
imbarcazioni.
Però la vera ragione è che gli isolani, assediati dai
corsari turchi che battono le acque prospicienti l'isola in cerca di schiavi,
non osavano prendere il mare senza protezione (vedi più avanti le affermazioni
del Warren).
Sopravvivenza e speranza di vita.
Il grafico di Fig.3 mette a confronto le curve di
sopravvivenza di tre periodi scelti (v, riquadri in Fig.2) come rappresentativi
del 1600, 1700 e della discussa crisi demografica.
Fig. 3
L'asse verticale riporta il numero dei sopravvissuti su
1000 nati vivi nei periodi 1650-1690, 1735-1775 e 1795-1810 in funzione dell'età
(1 secolo) suddivisa in intervalli di 10 anni. La retta tratteggiata
descrive il caso teorico in cui la sopravvivenza diminuisce linearmente con
l'età.
I tre periodi sono caratterizzati da una alta mortalità
infantile che raggiunge il massimo all'inizio del 1800 in cui solo il 55% dei
nati raggiunge l'età di 10 anni, 15% in meno dei periodi precedenti. La curva
relativa a questo periodo si mantiene anche più bassa di quella del 1600 fino
all'età di 20 anni, ma dopo i 25 anni il numero dei sopravvissuti uguaglia
quello del 1700. Per le età mature, le curve di sopravvivenza relative al 1700 e
1800 si avvicinano a quella teorica ad indicare un buon adattamento ecologico
della popolazione. Il grafico di Fig.4 riporta il numero medio di anni da vivere
in funzione dell'età. Verso la metà del 1600, un ragazzo di 10 anni poteva
sperare di vivere fino a 42 anni e un sessantenne fino a 70. Negli altri due
periodi, la speranza di vita è aumentata, specie per le età mature dove un
sessantenne può avere avanti a sé ancora trenta anni di vita.
Fig. 4
Longevità ecologica.
La Fig.5 riporta per intervalli decennali di età di 1000
sopravvissuti al termine dell'età infantile (da 0 a 10 anni) nei tre periodi
presi in considerazione.
Fig. 5
La longevità ecologica cade nell'intervallo 70-80 nel '700
e '800, invece nella metà del '600 si ha un massimo di mortalità ben definito
nell'intervallo da 20 a 30 anni.
Interessante poi è il picco secondario tra i 40 e i 50,
spostato di 10 anni nell'ultimo periodo a dimostrazione dell'incremento
adattativo della popolazione umana all'ambiente.
Tornando alla curva di Fig,2 si può infine notare che dopo
la crisi ci sono voluti 25 anni (un'intera generazione) per riportare la
popolazione gigliese ad un livello compatibile con la precedente crescita media
tendenziale.
Questa ripresa (17 abt/anno) fu possibile perché i
gigliesi, dopo aver sventato con le armi l'ultimo attacco in massa dei pirati
nel 1799, presero a sfruttare il mare senza troppi rischi in modo sistematico,
accompagnandosi ad un gruppo di esperti pescatori provenienti da due potenti
stati, il Regno di Napoli e la Repubblica di Genova.
Verso la fine del 1700, infatti, data la pescosità delle
acque, dieci famiglie di pescatori napoletani e genovesi (34 anime in tutto) si
erano gradualmente stabilite presso il porto dell'isola.
Nel 1840 la popolazione stimata dei "portolani" ammontava a
circa 400 e quella dei gigliesi a 1400. Qualche gigliese da contadino era
diventato pescatore a tempo pieno, altri esercitavano ora nuovi mestieri come il
sarto, il calzolaio, la calzettaia, la fornaia e la macinatora.
La struttura per età della popolazione, 1678 e 1994.
Fig. 6
Fig. 7
Il primo grafico (Fig. 6) mostra una popolazione in via di
sviluppo, con una proporzione elevata di giovani (il 50% tra 0 e 20),
caratterizzata da una alta natalità e da una mortalità contenuta. Il grafico
inoltre mostra un rapido abbassamento della popolazione passando alle età mature
e anziane quando il numero delle nascite era inferiore.
Nel secondo grafico (fig. 7), che si riferisce al 1994, la
situazione è opposta: la popolazione è stazionaria (crescita zero) con natalità
in diminuzione e bassa mortalità e una alta percentuale di maturi e anziani (il
43% tra 40 e 70). E'il quadro di una popolazione in estinzione, quella che oggi,
dopo tante eroiche vicissitudini, ha abbandonato la campagna e il mare come
fonti di vita e si impigrisce e adotta tutte le insulsità che i continentali
portano con il turismo della stagione estiva.
Tuttavia, non sono pochi quelli che, giunti all'età della
pensione, ritornano alla terra piantando vigne e al mare per la pesca, come un
atto di fedeltà alla loro cultura e di amore verso la propria "madre".
Il sistema ecologico dell'Isola del Giglio.
Fig. 8
Lo schema a blocchi di Fig.8 costituisce un modello del
sistema ecologico dell'isola. Il blocco G rappresenta la popolazione umana che
presa separatamente non è dissimile da qualsiasi altra; quello P, a sua volta,
le popolazioni delle specie animali e vegetali facilmente rinnovabili nella
composizione e varietà per le piccole dimensioni dell'isola e per la sua
vicinanza con il continente.
In un sistema ecologico l'interazione (I) di queste
componenti produce quasi sempre una popolazione adattata localmente detta
ecotipo con proprietà emergenti differenti da quelle iniziali.. Questo
adattamento può produrre delle razze, con o senza manifestazioni morfologiche
marcate, a livello di acclimatazione fisiologica se non propriamente
genetico.
Le frecce rappresentano i flussi di energia o di materiali,
le doppie frecce le azioni reciproche tra il bioma e l'ambiente fisico e
l'anello di controllo indica gli interventi operati dagli isolani per lo
sviluppo della capacità portante del territorio.
La curva di accrescimento in Fig.2 suggerisce che l'intera
comunità, costituita da tutte le popolazioni in equilibrio coll'ambiente,
richiede un numero di umani di circa 900 unità per essere immune da qualsiasi
perturbazione esterna.
I "portolani", avendo occupato una nicchia ecologica non
competitiva hanno instaurato un giusto mutualismo con la popolazione gigliese
che ha cosí potuto accrescersi con una velocità quasi quadrupla di quella
presentata prima della crisi trofica.
Se ora si prendono in considerazione gli indici di
mortalità nell'arco di 4 secoli e precisamente negli intervalli di tempo
1640-80, 1740-80, 1840-80 e 1940-80, è possibile ottenere una prova scientifica
dell'avvenuta formazione di un ecotipo umano. La Fig.10 è analoga alla Fig.5, ma
riporta gli indici di mortalità e cioè i rapporti (quozienti) tra il numero di
morti per classi decennali d'età e il numero totale dei decessi (fatti uguale a
100) avvenuti in periodi di 50 anni. La scelta di questi intervalli è stata
condizionata dalla mancanza dei registri delle sepolture dal 1700 al 1735
nell'Archivio Parrocchiale.
Fig. 9
Dall'analisi della curva relativa all'intervallo 1940-1980
si desume che la longevità ecologica dei Gigliesi è rimasta immutata negli
ultimi tre secoli, dopo un periodo di adattamento.
Infatti, il tratto di curva che corrisponde alla massima
frequenza di morti risulta qui deformata rispetto a quella teorica (gaussiana,
tratteggiata nel grafico) per l'azione cumulativa di due fattori: uno
rappresentato dalle risorse interne all' ecosistema e l'altro esterno dovuto
all'apporto energetico a seguito dello sviluppo turistico.
Per costruzione le aree comprese tra le curve e l'asse
orizzontale racchiudono tutte 100 morti (normalizzazione) e quindi ad una
diminuzione della mortalità infantile deve corrispondere un aumento del numero
di individui che raggiungono la longevità massima. Questa è caratteristica e
contraddistingue le varie specie e le razze viventi in condizioni normali.
In definitiva si può affermare che, l'ecotipo umano
localmente adattato, sta oggi perdendo quello stato naturale (identità fisica),
controllato solo dalle condizioni ambientali.
Tale perturbazione è stata qui definita "effetto turismo".
Caratteristiche comportamentali dei Gigliesi.
1671.
Il dott. Magi nella sua relazione del 1671,
cortigiana, incoerente e preconcetta, aveva riferito al Granduca che "le
donne....portano spesso due gemelli" e che "i parentadi li fanno da ragazzi et
il più delle volte se ne servono prima per molti anni, per vedere come li
riescono alla prova....".
Tuttavia, dai registri parrocchiali risulta che dal 1622 al
1671 su 926 parti quelli gemellari erano stati 14 (2%), i nati ante nuziali 4 su
183 matrimoni, i concepimenti prematrimoniali 24 (13%). Sempre nello stesso
periodo l'età media dello sposo è di 28 anni e della sposa 23.
Il dott. Magi invece di presentare i gigliesi come dei
primitivi per natura e costumi presso la corte granducale, avrebbe dovuto
mettere in evidenza la civiltà di questi isolani che nonostante la povertà,
"Sono poveri tutti indifferentemente...né vi è chi possa vivere senza zappare,
né uno puol aiutare l'altro, non sono niente industriosi e di qui nasce la loro
miseria", si preoccupavano di far celebrare i matrimoni e si industriavano per
racimolare i pochi soldi per il prete e per la dote delle figliole
"...ordinariamente è di scudi 150 e poche arrivano a 200........si dà
primeriamente la casa, cioè una stanza, un macinello da grano, un pezzo di
vigna, qualche pecora e capra e un asino..(lo stretto necessario)".
L'inviato del Granduca appena sbarcato già sa tutto sul
clima, sulla natura del terreno (...fertilissimo produce di tutto. ..", sui
metodi di coltivazione adeguati per l'isola "...pochi usano dar concime per non
durar fatigha a riccattarlo...", sembra un politico dei nostri tempi,
arrivando fino al punto di criticare la coltivazione di uva biancona che produce
un vino "...debole e insipido... (palato fine da cortigiano)", ma che ha una
maggiore resa in barili e, mischiata al mosto dell'ansonica, in soldi.
I gigliesi dalla sua descrizione ne emergono come dei
primitivi belli, robusti e rumorosi (forse dalle sue parti a ragione non ne
aveva mai visti dei pari), ma con poco cervello "...fuori della zappa pochi
pensano ad altro..." e infingardi.
Tuttavia, questi isolani "... uomini scissa... di natura robusta
grandi e bella gente... Le donne grandi quanto gli uomini e robuste ...hanno bel
colorito.." (frutto della loro miseria per incapacità di industriarsi o per
grazia divina?) hanno seguitato con il loro essenziale stile di vita, appreso
dalla natura, aumentando di numero dai circa 650 del 1671 fino a raggiungere,
125 anni dopo, la massima capacità portante di 1200 unità: un gran successo
demografico nonostante tutto!
Può darsi che il Magi elargisse i suoi consigli per il
comune interesse del Granduca e degli isolani, ma i gigliesi, come tuttora
fanno, non lo prendevano di certo in considerazione, godendo solo dell'insolito
spettacolo offerto da quel pomposo "grancetto" che sproloquiava sui fatti di
casa loro e del quale soppesavano probabilmente solo l'aspetto fisico.
Quale credito sperava di ottenere presso i gigliesi se li
esortava a piantare sui poggi dei castagni che in breve tempo avrebbero seccato
le sorgenti, privando cosÍ la popolazione degli orti e dell'acqua
potabile?
Il dott. Magi con le limitate conoscenze scientifiche del
suo tempo trovandosi al cospetto di un ecotipo umano costituito da esemplari
dotati di armoniche e ragguardevoli proporzioni e di grande energia ("...quando
discorrono amichevolmente lo fanno a voce tanto alta, che pare sempre si voglino
sfegatare, contrastano continuamente, ma di rado vengono alle mani...") non
avrebbe potuto capire che questi uomini erano tali perché vivevano e
prosperavano in completa e consapevole armonia col proprio ambiente. La nascita
e la morte sono per loro dei fatti naturali, inevitabili e al di fuori del
tempo, come accade per tutti gli altri esseri viventi, piante e animali.
Il dott. Magi, troppo occupato a servire il suo Principe,
non si era soffermato neanche un istante per meditare sulla pacifica e giusta
filosofia di vita di questi uomini sani, felici e liberi da tutte le effimere
etichette e convenzioni sociali del loro secolo.
1749.
Nel 1749 il colonnello Odoardo Warren, direttore generale
delle fortificazioni del granducato, parla dei gigliesi, che stavano per
affrontare la grande carestia del 1795, come di gente molto coraggiosa,
laboriosa, industriosa e di eccellenti marinai. Il suo atteggiamento non è
colonialistico e nervoso come quello del Magi, ma razionale e compassato come si
addice ad un militare di estrazione anglosassone.
Nota la presenza di molti giovani e suggerisce di far
venire sull'isola un maestro perché questi abbiano l'opportunità di imparare a
leggere, scrivere e far di conto e aggiunge "...una scienza maggiore li
scuolgerebbe, essendo grandi dall'idea (dal punto di vista) del travaglio di
terra e di mare nei quali è indispensabile di mantenerli.".
Con questa frase il Warren, avvezzo per esperienza a
giudicare gli uomini, mostra di aver compreso che questi isolani erano il
prodotto di una lunga interazione uomo-ambiente e temeva che nuove idee estranee
potessero sconvolgerne l'equilibrio a scapito della capacità di sopravvivenza.
Il Warren nota anche lo stato d'animo degli isolani sotto
la minaccia continua dei pirati: "....le corse che i Turchi fanno quasi senza
interruzione attorno all'isola, donde spesso hanno rapito dell'abitanti, ispira
loro dall'infanzia dell'orrore per quei Corsari, e li tiene in continuo spavento
di essi; questa è la cagione che non v'è che una sola abitazione nell'isola, che
si chiama il Castello. Esso è situato nel luogo il più eminente...è una specie
di piccolo borgo recinto da muraglie... difese da torri tonde..."
1855.
Il Medico condotto Giuseppe Convetti in una relazione,
pubblicata sulla "Gazzetta Medica Italiana" del 1855 scrive; "I Gigliesi sono
tutti individui robustissimi ed offrono molti esempi di longevità. Il
temperamento sanguigno è il predominante fra gli uomini. Il vitto usuale dei più
consiste ordinariamente in legumi e sardine salate e in pesci delle qualità più
povere e vili. Ed è cosa veramente da meravigliarsi, come possano essi godere,
anzi godono una si perfetta salute, e tanto siano forti e vigorosi, non
cibandosi che di poco pesce e legumi, e non usando che ben di rado di scarsa
quantità di carne, che essendo tutta di bestie lanute e minute, riesce ben poco
nutritiva."
Dopo circa due secoli dal dott. Magi anche il dott.
Convetti rimane impressionato in uguale modo e misura dall'aspetto fisico
e dalle caratteristiche comportamentali degli isolani.
Verso la fine del '700 l'ecotipo isolano si era già
formato, in pieno accordo con le conclusioni dedotte dallo studio della
distribuzione degli indici di mortalità.
Nell'estate del 1855 al Giglio imperversa il colera e il
Convetti si lamenta che i malati non seguono le sue prescrizioni (palliativi a
base di solfato di stricnina, olio di trementina, ecc.): "Sfortunatamente"
scrive "le medichesse sono onnipotenti al Giglio....", ma in seguito si
contraddice affermando che "...i casi sono stati assai meno frequenti, ed anzi
sono cessati del tutto, appunto quando si abusava della frutta, e specie
dell'uva e dei fichi.".
Quindi l'organismo dell'ecotipo gigliese reagiva
all'infezione positivamente con il solo aiuto dei prodotti della natura che non
avevano a forti dosi effetti letali come le medicine in uso in quel tempo.
Tuttavia, in qualche caso si esagera: "...due donne già
pervenute a buon porto, per averle accollate (le medichesse), si trangugiarono
una 5 mezzette di vino generosissimo, e l'altra 4, e cosÍ cessarono di vivere in
stato di vera ebrietà".
In quanto al contagio il medico condotto lo addebita agli
atti imprudenti di affezione da parte dei parenti e degli amici "....non
essendosi trovato chi ne seppellisse il cadavere, (Camillo Luchini) si prestò
per inumarlo,........lo abbracciò e lo baciò, e ne prese la berretta di lana che
aveva in testa, servendosene quindi in proprio uso.", "Il Masserini (uomo di
oltre 80 anni) volle vedere il cadavere dell'amico Luchini, e baciarlo. Pochi
giorni dopo aveva anche lui il cholera, e perché fu veramente benigno ne campò
in vita."
Questo è uno degli episodi riportati dal medico condotto
nella sua relazione e illustra quanto sia forte il legame affettivo che
tiene unita la comunità al di là delle passeggere beghe personali (....siamo
tutti sulla stessa barca!).
Tuttavia, il medico che è tutto impegnato a dimostrare la
natura contagiosa e non epidemica del colera, dimentica quale altra causa del
contagio il fatto, anche se lo riporta, che i Gigliesi usavano concimare gli
orti con i propri escrementi che evacuavano liberamente nelle stalle attigue
alle loro stanze.
Infine prende una cantonata definendo le acque potabili del
Giglio impurissime e appena bevibili.
1998.
Le usanze civili ed essenziali, le credenze impregnate da
una sorta di animismo pagano, i principi morali semplici e naturali, i rapporti
sociali visceralmente vissuti in totale comunione, ma soggetti ad improvvise
burrasche, l'istintivo attaccamento affettivo che a volte prevale su quello
familiare, il discreto e assennato matriarcato, le questioni sociali demandate
alle donne, lo scontato favoritismo tra la prole, il modo di comunicare schietto
e brusco, sempre accompagnato da una caratteristica mimica, la notevole abilità
di osservazione degli stati fisici ed emozionali, la profonda conoscenza delle
risorse naturali dell'isola, il fisico perfettamente adattato ad un lavoro
pesante, la continua ricerca dell'approvazione degli anziani, il culto per i
fatti e gli aneddoti del passato, le argute burle di sapore medioevale, il
particolare idioma ricco di antiche parole toscane e soprattutto l'atavica
voglia di pace e di libertà fanno di questa popolazione, ancora superficialmente
scalfita dal turismo, un ben caratterizzato gruppo etnico.
Per dirlo alla maniera locale "sono tutti della medesima
porga! ".
L'ecotipo gigliese
Le osservazioni
riportate dal Magi sull'aspetto fisico e la personalità dei Gigliesi, verso la
fine del '600, sono molto utili per la caratterizzazione somatica e
comportamentale dell' ecotipo isolano.
Nel 1671 il Magi sembra tanto impressionato dalle
dimensioni corporee degli isolani, sia maschi che femmine, da ripeterlo più
volte nel suo scritto e inoltre nota la loro istintiva impetuosità nel far
valere contro gli altri le proprie ragioni; carattere che nel 1749 il colonnello
Warren, quasi un secolo dopo, definisce grande coraggio.
Analogamente nel 1856 il medico condotto Convetti parla di
gente robustissima, di grande forza, di ottima salute, di carattere sanguigno e
di necessità alimentari minime basate soprattutto su pochi pesci salati, fichi
secchi e abbondante vino corposo.
Nel continente a quei tempi era certamente molto raro se
non impossibile trovare uomini simili e con un cosÍ alto rendimento metabolico.
Prima di tutto è necessario fare una considerazione sulla
prolificità degli isolani.
Fig. 10
L'asse verticale del diagramma in Fig.10 riporta in cifre
l'accumulo dei nati per decenni iniziando dal 1640 fino al 1699 compreso, per un
totale di 50 anni.
Il numero dei nati è considerevole e ammonta a 1281 con una
media decennale di 210 unità.
Si è visto precedentemente che in questo periodo l'ecotipo
era ancora in fase di completamento, poiché non esiste una longevità ben
definita.
Durante questo intervallo di tempo e nei precedenti 300
anni si può ammettere la nascita casuale di alcuni particolari soggetti con
caratteristiche fisiologiche e somatiche più favorevoli alla sopravvivenza
rispetto ad altri.
L'ambiente dell'isola, con l'azione selettiva del clima e
della scarsità di risorse alimentari, permetterà di raggiungere l'età della
riproduzione solo agli individui più adatti a lavorare con un minimo apporto
energetico.
Perché, allora, sono stati selezionati anche quelli grandi
e grossi?
In prima analisi uno si aspetterebbe degli individui
piccoli, agili e pieni di forza nervosa, in grado di vivere con poco e muoversi
sul territorio scosceso senza eccessivo dispendio di energia.
Per rispondere a questo quesito è necessario osservare
attentamente il grafico di Fig.11.
Fig. 11
L'azione selettiva si esplica soprattutto nell'intervallo
di età 1-9 anni, dove cade la massima mortalità (21%).
Bisogna, quindi, ammettere la presenza di un altro fattore
selettivo: la competizione tra i più giovani.
Questi in genere erano affidati ad una donna anziana con il
compito di sorvegliare un certo numero di bambini e di pensare al pasto o in
qualche caso alla nonna perché i genitori, maschi e femmine, dovevano recarsi al
lavoro in campagna per far ritorno la sera.
Normalmente i ragazzi dai cinque ai dieci anni erano
portati nei campi per dare una mano e per apprendere il mestiere.
La selezione competitiva doveva, quindi, avvenire in una
fascia d'età inferiore.
Per risolvere questo problema è stato costruito il grafico
di Fig.12 per i periodi 1640-99, 1740-99 e 1840-99.
Fig. 12
Le tre curve rappresentano la distribuzione degli indici di
mortalità di 100 decessi relativi ai suddetti periodi per classi di età
triennali.
Nell'intervallo di età 1-3 fra il 1640 e il 1699, il picco
relativo alla selezione competitiva è ben individuabile perché la mortalità dei
minori di 1 anno risulta più bassa di circa 15 punti e poi rappresenta anche il
massimo statistico di longevità ecologica del periodo.
I ragazzi di questa classe d'età che riescono ad affermare
la propria supremazia sugli altri saranno quelli più grossi, più forti, e più
prepotenti e avranno cosÍ una maggiore probabilità di passare attraverso la
barriera alimentare e raggiungere l'età matura.
Queste considerazioni forniscono una spiegazione
scientifica dei riscontrati caratteri somatici e comportamentali dell'ecotipo
isolano.
Dalla Fig.14, si nota che la mortalità infantile sale con
l' aumento della popolazione e questo perché esso causa un maggiore affollamento
nelle case del paese.
Il dott. Convetti scrive in proposito "Più che 2/3 delle
case non consistono che di una, o al più due stanzucce basse e poco aerate. Non
è raro che una famiglia composta di 6 ed anche 8 individui stia solo in una
stanza ove ha il focolare, la macina per il grano e tutti gli attrezzi
indispensabili per una famiglia sia pure quanto vogliasi povera. E siccome vi
sono anche degli animali è un miracolo se non vi cadono asfittici......" e
inoltre "In quanto all'aumento della popolazione, esso sarebbe ad ogni anno
assai maggiore, se un gran numero di bambini non perissero nella prima età,
vittime di usi fatalissimi sul modo di nutrirli. E' per questo che i registri
mortuari del Giglio comprendono un numero assai maggiore di infanti, che in
qualsivoglia altro paese".
Quest'ultima osservazione è la conseguenza del meccanismo
di autoregolazione del sistema ecologico (feed-back).
La povertà delle famiglie
preclude qualsiasi dieta particolare: i genitori, affranti dalle fatiche
quotidiane, al loro ritorno a casa cercano di soddisfare l'insistente richiesta
di cibo da parte dei minori con quello che trovano (in genere fichi secchi
prodotti in abbondanza dal territorio e occasionalmente del latte di capra)
Scrive il medico "Dai fichi seccati traggono un partito
grandissimo, giacché nell'inverno servono loro come di pane. Diverse
osservazione che non hanno qui luogo (la relazione aveva come tema il colera),
mi fanno ritenere che dall'uso di quelli debbasi, in gran parte, la incredibile
produzione de' vermi di ogni specie, da cui sono complicate le malattie
tutte...".
L'effetto del boom economico sulla longevità.
Fig. 13
La Fig.13 riporta la distribuzione degli indici di
mortalità per classi di età decennali ad iniziare dal 1930 fino alla fine del
1979.
I grafici sono stato limitati alla parte finale delle età
per mettere in evidenza il punto di maggiore addensamento dei decessi (picco)
che indica, com'è stato detto in precedenza, la durata effettiva e oggettiva
della vita.
Dato che il calcolo delle mortalità si riferisce a 100
decessi (indici), ad una diminuzione delle morti precoci, dovute al parto, a
fattori professionali o a eventi storici, corrisponde necessariamente un aumento
della percentuale degli individui che raggiungono il limite di longevità.
Nel primo periodo, 1930-39, la curva, molto simile ad una
gaussiana teorica, indica che il 40% degli abitanti moriva tra i 70 e i 79 anni.
Nel decennio successivo 1940-49 si nota un allargamento del
picco di longevità verso età superiori, con una mortalità del 32%
nell'intervallo 70-79 e del 25% tra gli 80 e gli 89 anni.
La curva relativa al 1950-59, che coincide con l'inizio
effettivo del fenomeno del turismo, segna in generale un aumento di 10 anni
della longevità, con una percentuale del 38%, ma quella della mortalità
corrispondente ai 70-79 è diminuita di poco.
Dopo un salto di 10 anni,
1970-79, l'unica variazione degna di nota è un aumento. di più di 10 punti,
rispetto al periodo precedente, della percentuale dei decessi nell'intervallo
60-69.
Questo fatto, piuttosto allarmante, potrebbe essere la
conseguenza del consumismo, che porta ad un'eccessiva alimentazione con prodotti
industriali, a stress, e ad una diminuzione dell'attività fisica per l'abbandono
progressivo della coltivazione delle vigne e degli orti e dell'attività di
pesca.
Lo stato delle acque potabili, controllato periodicamente
dal Comune, è ancora ottimo, ma è aumentato il consumo delle acque imbottigliate
sia per pigrizia sia per moda introdotta dal continente, dove c'è davvero la
necessità.
Le acque del mare, a parte quelle zone sottoposte ai reflui
fognari, che presentano deboli tracce di inquinanti, non sembrano sensibilmente
influenzate né dall'uso di detersivi e né dalla dispersione di oli solari dovuta
principalmente al passaggio estivo dei visitatori.
La qualità dell'aria non desta preoccupazioni perché il suo
contenuto di ossigeno è essenzialmente regolato dalla microflora marina.
L'acidità delle piogge, costantemente controllata con una
stazione privata, segna valori pari a quelli dell'Argentario e fino ad oggi i
suoi effetti sulla vegetazione sono poco evidenti.
Sarebbe quindi augurabile che i Gigliesi riprendessero la
produzione di vino e di ortaggi e l'attività di pesca anche ad uso solo
personale, per una vita e un'alimentazione più sana
Emigrazione e flusso genico.
Fig. 14
Nei periodi 1650-1680 e 1750-1825 c'è una certa
immigrazione. Si formano nuove famiglie, alcune delle quali lasciano l'isola
poco dopo la nascita dei figli.
Nei detti intervalli la curva stimata rimane più bassa di
quella ottenuta dai censimenti.
Quindi, la curva stimata diventa più alta a cavallo delle
guerre di indipendenza per ritornare prossima alla censita nel 1895.
Fenomeno analogo si riscontra dopo la prima e la seconda
guerra mondiale.
Invogliati dalle prospettive ventilate nei dopoguerra,
alcuni individui disadattati, per tradizione definiti vagabondi o leggere,
emigrano in cerca di un nuovo modo di vivere (novelty seeking).
Una stima di quest'emigrazione potrebbe essere ricavata
dalla differenza delle aree delimitate dalle due curve, dall'ascissa 1850 - 1950 e
dalle corrispondenti ordinate del diagramma 14.
Calcolando, quindi, l'area tratteggiata del grafico,
nell'ipotesi di continuità del fenomeno, è stato ottenuta un'emigrazione totale
pari al 15% della popolazione stimata, in due cinquantenni dal 1850 al 1950.
Questo valore piuttosto modesto è indicativo di una
popolazione antica e ben adattata.
Vale a dire, costituita da un'estesa maggioranza
d'individui adulti che trovano piena soddisfazione e appagamento nel lavorare la
terra, nel forgiare attrezzi nella fucina, nel pascolare le capre, nel cavare,
con mazzolo e scalpello, oggetti utili dal granito, nella caccia e nella pesca,
nel calore della famiglia e degli amici, nelle interminabili discussioni nelle
cantine e nel risvegliarsi ogni giorno in una meravigliosa casa comune.
In definitiva, l'emigrazione ha l'effetto di aumentare la
percentuale di distribuzione dell'ecotipo isolano nella popolazione stessa e
costituisce quindi un rapido meccanismo di selezione o vaglio dei più adatti
alle condizioni ambientali.
Questo processo è conosciuto con il termine di gene flow
(flusso genico), anche se nel caso di un'isola sarebbe più adeguato chiamarlo
gene drain (perdita di varietà genetiche).
Lo studio delle frequenze geniche e delle modalità di
distribuzione dei geni nelle popolazioni naturali è il compito della cosÍ detta
"Genetica di Popolazione".
COEG
Isola del Giglio, 4 novembre 2003
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