Giglio Castello
(da una ricerca del Prof. Christian Norberg-Schulz dell'Università di Oslo)
Non è passato tanto tempo da quando in Europa i villaggi erano una realtà viva. Da qualche parte forse lo sono ancora. Ma quella forma di vita che essi rappresentavano appartiene ormai al passato. Era basata soprattutto su una comunità di sentire e di agire, sostenuta da valori semplici e di portata generale.
In fondo si viveva quasi allo stesso modo in campagna ed in città. Anche le poche grandi città del passato, di cui abbiamo notizia, non erano pluralistiche non modo di intendere moderno.
Ma se la forma di vita dei villaggi è ormai tramontata, perché allora intraprendere dei viaggi per coglierne l'ultimo respiro ?
Prima di tutto si possono indubbiamente apprendere delle cose importanti sulla gente venendo a contatto con una comunità dove si abbia la fortuna di trovare un "abitus vivendi" completo, relativamente stabile; e poi sarà più facile capire a che punto noi stessi siamo arrivati.
Da in lato si può anche pensare che la struttura architettonica di un paese abbia oltre che qualcosa da dirci, delle capacità contenutive e ricettive di notevole importanza.
Gran parte della popolazione europea vive ancora nei villaggi del passato, ma in genere questo ambiente ha perduto il suo significato originale e i giovani lo abbandonano.
Ciò accade anche a Giglio Castello.
Quando noi lo abbiamo scelto quale oggetto di studio è perché è relativamente ben conservato, grazie alla sua posizione su di un'isola. Inoltre ha un'eccezionale struttura varia ed unita allo stesso tempo.
L'Isola del Giglio è situata sulla costa ovest italiana, a circa 140 Km a nord di Roma. E' lunga 9,5 Km ed ha una superficie di 22,5 Kmq. E' in gran parte ripida ed inaccessibile, ma i dolci declivi del fianco nord si adattano a terrazze di vigneti. L'Isola ha anche un paio di porti naturali: Marina o Porto verso il continente e la grande insenatura del Campese verso il mare aperto. Così fin dai tempi più remoti essa ha offerto due possibilità di vita: la pesca e la vite.
E' interessante notare come queste due fonti di guadagno siano sempre rimaste nettamente distinte l'una dall'altra. Gli abitanti del Porto, o pescatori, non coltivano la terra ed i contadini in cima al colle sull'Isola non hanno mai avuto molto a che fare con il mare. Una spiegazione materialistica in questo caso metterebbe bene in vista le faticose comunicazioni tra il porto in basso e la terra coltivata in alto. La causa è invero ben più profonda. I mestieri del pescatore e dell'agricoltore dipendono da due modi ben diversi di intendere la vita, che sono assai difficili da combinare nella stessa persona. Al Giglio vivono tuttora dei vecchi contadini che non sono mai neppure scesi al mare! Ed i due villaggi sono dei centri differentissimi anche architettonicamente. Mentre il Porto è vivace, aperto, pittoresco, il Castello è chiuso e statico nel suo carattere.
Il villaggio del Castello è situato in mezzo alla zona dei vigneti, su una piccola terrazza, a metri 406 sul livello del mare. La vista circolare è favolosa e l'occhio spazia dalle alte formazioni rocciose dell'Argentario ad est alla lunga catena degli Appennini dell'Elba al nord ed ai più azzurri monti della Corsica ad ovest. In mezzo al mare si erge Montecristo col suo profilo segreto e dentellato. Ma visto e sentito dal Castello il mare è distante, poco più di uno scenario che sorregge i forti contorni del paesaggio, un fondale che cambia col mutar del sole e delle stagioni.
Al centro di questo spazio si trova il villaggio circondato dai campi che discendono in terrazze coltivate. Da secoli è stato l'unico centro abitato dell'Isola, per quanto tracce di ville romane e di tombe etrusche si trovino più a basso e ne documentino la lunga storia. Persino Cesare scrisse di marinai provenienti dal Giglio.
Dagli inizi del medioevo l'Isola appartenne alla Chiesa, ma un vero e proprio centro abitato, laddove ora sorge il Castello, si deve essere andato formando intorno al Mille quando bi si stabilirono degli agricoltori toscani. Nei secoli seguenti l'Isola fu a turno di Pisa e di Firenze. Gli agricoltori del Giglio non furono mai mezzadri come sul continente, al contrario oltre ad essere esenti da tasse ricevevano anche un premio annuale per far la guardia contro i pirati ed i turchi. Appena avvistavano dei velieri nemici accendevano dei grossi fuochi dalla parte del continente e in due ore la notizia raggiungeva Firenze!
Nel 1534 il Castello fu preso dal pirata Barbarossa che trasportò un bottino di settecento schiavi sui mercati di Costantinopoli. Solo i vecchi rimasero a casa. Allora cinquanta famiglie giovani furono mandate all'Isola dalla zona di Siena ed i loro nomi sono quelli che stan tuttora sulle bocche della gente.
Le incursioni dei pirati proseguirono fino all'ultima, grande, di fama locale.
Il 18 Novembre 1799 (vedere documento a parte) l'Isola fu attaccata da duemila turchi provenienti da Tunisi, che si ancorarono con otto navi da preda nell'insenatura del Campese. I gigliesi avevano fatto tesoro delle esperienze precedenti sviluppando un sistema di difesa originale ed efficace. Il pesce salato veniva immagazzinato in barili sulla spiaggia e quando, dopo le prime schermaglie all'approdo, i turchi affamati si buttarono sulle delicatezze marine, furono presi da una sete spaventosa. Salendo verso il paese trovarono capannine in pietra locale ove i gigliesi erano soliti conservare le botti dello stesso nettare traditore di cui ancora oggi ci è dato godere sull'Isola. Un vino che ha sapore di sole. di semi d'uva e di cuoio e che va alla testa dando ebbrezze durevoli. I due cannoni del Tenente Martini fecero il resto di cinquecento turchi ubriachi, tutti gli altri si dettero alla fuga ed i gigliesi questa volta se la cavarono con un ferito ed un morto.
Fino al 1866 il Giglio visse vicende solitarie ed isolate, l'Isola entrò poi a far parte del regno d'Italia appena costituito ed ebbe allora inizio quel processo centrifugo che ha ovunque contribuito a dissanguare le comunità più piccole o più decentrate.
Il Castello ha ancora conservato gran parte delle sue antiche caratteristiche. La prima impressione è quella di un pittoresco assembramento di case. Soltanto ad una più attenta osservazione ci si rende conto come si tratti in effetti solo di un tipo di casa più volte ripetuto e che queste abitazioni sono anche raggruppate secondo un principio semplice che è operato sistematicamente. In pochi luoghi come al Castello si può intendere intensamente come ordine e variazione non siano affatto contrari. L'abitato si è sviluppato come una cornice organica attorno alla vita della gente. L'asinello ha deciso l'ampiezza delle strade, le scale esterne che portano alle soglie hanno costituito il mezzo più sollecito di contatto sociale e le case sono dei piccoli capolavori di ordinamento caratteristico.
Al principio non esisteva differenza alcuna tra la gente del Castello. Tutti facevano le stesse cose, tutti zappavano la vite ed abitavano nella stessa maniera. Non esisteva gente specializzata. C'erano appena gli artigiani necessari. Tutti erano analfabeti tranne il Curato e fino alla seconda guerra mondiale il battello postale costituiva l'unico legame con il resto del mondo, una volta alla settimana. I gigliesi erano gente felice. Non conoscevano modi migliori di vita prima che venissero dal continente le informazioni necessarie.
Quando abbiamo chiesto ad una persona nativa del Castello di parlarci del suo villaggio, ci ha risposto:
"E' come un cappotto caldo che posso mettermi indosso".
STRADE E PIAZZE
I percorsi delle strade hanno sempre una misura costante e tutti i loro elementi sono creati e dimensionati a scopi specifici. L'ampiezza delle strade è stabilita dall'unico mezzo di trasporto, l'asinello (fig. 1) sulla cui groppa arriva il raccolto dei campi. Questa misura è approssimativamente costante. Nelle vie principali possono passare due somarelli, in quelle secondarie c'è posto solo per uno (fig. 1/a).
Le scale esterne delimitano l'ampiezza della via, le mura delle case si ritirano ai lati per dar posto alle scale, agli ingressi dei magazzini e delle stalle (fig. 2). Dato che le strade sono spesso ripide il fondo stradale è strigliato o a gradoni per sorreggere e condurre meglio il piede (fig. 3).
La forma delle case ed il loro raggruppamento ha lasciato alle strade la funzione di portar via l'acqua piovana e altro. Questo è stato decisivo per la conformazione del fondo stradale.
Con lievi rotazioni e indietreggiamenti degli stretti percorsi si sono create delle piccole piazze che invitano gli abitanti ad indugiare e ad avere dei contatti sociali.
La leggibilità del sistema stradale è ottima perché coscientemente o solo a caso si è qui fatto uso di elementi conduttivi:
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Ingrandimento dell'ampiezza stradale all'incrocio con le vie principali.
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Le strade secondarie non si articolano all'incrocio delle strade principali.
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Le strade secondarie sono coniche. E' possibile indovinarne l'uso a colpo d'occhio.
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Gradini e scatti nel corpo stradale indicano possibilità di direzione.
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Il pendio della strada è molto conduttore.
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La luce è usata come elemento portante (chiaro, scuro, chiaro).
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Tutte le strade hanno un punto di arrivo (una porta, una scala, un'arcata).
La scarsità di spazio ha fatto si che le scale siano sistemate al di fuori delle case. Stalle e magazzini sono in questo modo completamente divisi dall'abitato. Le scale stabiliscono la loro rete stradale su diversi piani. Questo è valido soprattutto per le strette stradine laterali dove la distanza permette alla scala di andare da una casa all'altra. Cos' si è potuto conservare intatto lo spazio della strada (fig. 4). Le strade cominciano sempre nella parte più alta del fondo stradale, mentre nelle strade più piatte si snodano da tutti e due i lati.
Il parapetto della scala inizia sempre dopo i primi gradini (fig. 5). Non ne sappiamo il motivo, ma il risultato è che c'è più spazio al livello stradale e che la direzione da prendere non è predeterminata.
I pianerottoli delle scale e degli androni creano delle zone intermedie tra l'uso privato e quello pubblico. Servono come posto di soggiorno e stimolano i contatti umani (fig. 5).
In passato non esisteva al Giglio Castello nessuna differenza di classe. Uomini, donne e bambini lavoravano insieme nelle vigne per la maggior parte del giorno. Di sera gli uomini si riunivano nelle cantine, le donne si sedevano sulle scale a chiacchierare mentre i bambini giocavano per le strade. La gente viveva a contatto della natura e del prossimo fino alla vecchiaia ed alla morte. Le malattie erano più o meno sconosciute e l'igiene non costituiva nessun problema. Fino a pochi anni fa ogni mattina si poteva vedere la processione di gente che usciva dalle mura per svuotare i vasi da notte.
I gigliesi hanno un temperamento aperto e fanno facilmente amicizia. Parlano senza rispetti umani del sesso ed a questo proposito ci hanno raccontato che in passato gli sposi, dopo le nozze, venivano chiusi dentro casa per tre giorni.
All'inizio del ventesimo secolo questo modello di vita si infranse. Nelle colline del Giglio vennero scoperti dei giacimenti di minerali. Fu aperta una miniera al Campese ed agli abitanti del Castello si prospettarono delle possibilità di lavoro con stipendio fisso.
Molti abbandonarono le vigne assolate per scendere nei fianchi della terra. C'è chi ancora amaramente commenta che "la miniera è stata la disgrazia del Giglio". Fu un lavoro ben diverso da quello sano ed igienico dei campi, e ne risultò un peggioramento delle condizioni di salute. Le terrazze dei vigneti rimasero incolte e molte non sono state mai più coltivate. Quegli uomini abituati a coltivare e bere il loro vino non erano più liberi. La nuova generazione non si sogna nemmeno di abitare al Giglio. Cercano un lavoro a Torino, Firenze o a Milano e vogliono tornare all'Isola dell'infanzia solo d'estate per la villeggiatura.
Anche Giglio Castello, ricco di antiche tradizioni, sarà ridotto ad una cornice turistica. Forse è meglio così. Ma il villaggio ha ancora qualcosa da dirci.
(Osservazione di Thomas Thiis-Evenseen, studente di architettura all'Università di Oslo)
Come in genere tutti i centri medioevali il Castello si è sviluppato relativamente a due fulcri, la rocca e la chiesa. Gli assalti ricorrenti hanno concentrato il paese entro la cinta delle mura. Tra la chiesa, la rocca e la cinta muraria era compresa, nel medioevo, la terra da coltivare come riserva in caso di assedio (fig. A).
Con l'aumento della popolazione si formò una rete stradale fortemente influenzata dal rapporto rocca, chiesa e porta di accesso. Questa struttura è pressoché ortogonale. Le diversioni dipendono soprattutto:
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dal tentativo di adattare il percorso delle strade nuove a quello già esistente;
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da variazioni topografiche dal muro di cinta;
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dalla funzione delle strade.
In genere la rete ortogonale dipende da condizioni preesistenti:
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scopi di difesa (a distanza);
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orientamento;
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comunicazioni (equa divisione);
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caratterizzazione della forma delle case;
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struttura densa.
Si deve ritenere che la struttura del villaggio, oltre che a dipendere da fattori naturali, dovette essere influenzato anche da prototipi romani; con più di un accesso nel muro di cinta l'incrocio di vie principali risolverebbe equamente la ripartizione dell'abitato (fig. B). il villaggio del Castello presenta un sistema di strade principali a forma di laccio scorsoio. Il principio è quello suddetto, risolto però con una sola porta d'accesso (fig. C).
Dalle osservazioni precedenti si potrà giungere alla conclusione che i quartieri sono condizionati dal percorso stradale. Essi ripetono fin dall'inizio un tipo fondamentale che interviene anche nella determinazione delle piante per le singole abitazioni (fig. D).
Le variazioni del sistema si basano su un principio di raggruppamento elementare quale l'addizione di due file di case. Le case vengono su mostrandosi il dorso per cui sono unite e affacciandosi sulle strade della direzione opposta (porte, finestre, scale) (fig. E ed e).
Questo principio semplicissimo rende possibile l'adattamento dei quartieri ad aree molto diverse (fig. F ed f).
Con degli spostamenti condizionati dalla topografia e dalla funzionalità si vengono a formare negli stessi quartieri degli spazi assai diversi (fig. H). Gli allineamenti delle case possono per esempio essere rimossi orizzontalmente gli uni rispetto agli altri (fig. J). In casi di differenziazioni ancora maggiori il quartiere segue l'andamento del terreno anche verticalmente (fig. K).
Per poter adempiere alle condizioni proposte dal quartiere si è creato un tipo di casa di struttura organica ed elementare. L'elemento è un blocco rettangolare con tetto spiovente per l'acqua. Questi blocchi sono fittamente allineati (massima utilizzazione) ed addizionati in modo che la pendenza del tetto sia diretta verso la via sottostante. L'acqua piovana viene così indirizzata alle cunette della strada (fig. L e M). Dato che il dorso della casa è una superficie additiva esso presenta raramente delle aperture. Su queste basi si è venuto a formare quel tipo di casa in cui la parte più interna dell'abitazione è usata per scopi cui non necessiti la luce (fig. O). Salvo alcune variazioni all'incrocio delle strade, il tipo sopradescritto è quello usato per tutte le strade del Castello.
Avendo bisogno di un'abitazione più grande lo stesso tipo viene raddoppiato (con due alcove) oppure la casa si fa più alta. Questa forma esemplare è stabilita sia dalla strada (ingresso, scala e finestre su una parete) che dal quartiere quale raggruppamento di case (il doppio raggruppamento sopra descritto) (fig. M e O).
Questa interdipendenza è illustrata dall'aspetto formale dell'agglomerato civico. L'impressione di una massa compatta suggerita dai quartieri viene rafforzata dal fatto che raramente le case sporgono al di fuori del corpo stradale, ma sono invece in esso contenute con moto continuo (fig. P). Questo si nota anche nel comune retro delle case puntuato dalla diversa profondità o grandezza delle abitazioni: un reciproco adattamento prospiciente una parete stradale intaccata (fig. Q). Il percorso stradale è ovviamente interrotto dal movimento delle scale e dal taglio delle porte, ma questi sono elementi di altro tipo. La vista delle case come corpi additivi connaturati risalta nella fuga costante e continua dei tetti del villaggio.
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Giovanni e Gabriella
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