Ipotesi di formazione delle sorgenti del Giglio
(da una ricerca del Prof. Ennio De Fabrizio)
Questo breve studio è stato intrapreso per dare una risposta conclusiva agli interrogativi che, da sempre, gli isolani si sono posti sull’origine delle loro numerose sorgenti.
Qualcuno, molto fantasioso, ipotizza la provenienza delle acque sorgive, da Santa Fiora o, addirittura, dalla Corsica [1], ma poi non sa spiegare come queste possano risalire fino a 400 metri, da sotto il fondo del mare e da tali distanze.
Qualcun altro, con più spirito di osservazione, afferma che la terra dell’isola prima assorbe la pioggia, come una spugna, e poi la rilascia lentamente; tuttavia, dubita che i poggi abbiano la capacità di trattenere una così grande quantità d’acqua.
Ho, quindi,
concentrato la mia attenzione sulla sorgente principale dell’isola, l’Acqua
Selvaggia, che sgorga alla base del poggio più alto, la Pagana, e dista solo
116 m, in linea d’aria, dal suo picco.
L’ipotesi
più plausibile mi è sembrata quella della spugna
e ho cosi affrontato il problema su basi scientifiche, stimando prima il volume
della Pagana, isolata dal poggio dei Castellucci, e poi, in base ad un semplice
esperimento, ho affrontato il calcolo della sua totale capacità
d’assorbimento dell’acqua piovana. Stima del volume in m3 della Pagana La
mappa del Giglio, edita dall’Istituto Geografico Militare (I.G.M), riporta
delle linee continue che rappresentano tutti i punti del terreno aventi la
stessa quota. Per
convenzione, il dislivello fra due linee vicine deve sempre essere lo stesso ed
è, nella cartografia ufficiale, pari ad un millesimo della scala del disegno
(ad es. in una carta da 1 a 25.000, il dislivello è di 25 m). La
rappresentazione del terreno risulta, però, approssimata, perché, diversamente
dalla realtà, si presuppone che la superficie compresa tra due linee di livello
successive sia sempre pianeggiante. La
Fig.1 illustra come è il poggio della Pagana secondo la cartografia ufficiale
con scala 1 a 25.000: una serie di piattaforme, a passo costante di 25 m, con
superfici che diventano sempre più piccole salendo di quota.
Più
le linee di livello sono ravvicinate maggiore è la pendenza del terreno. L’area
di ciascun piano di livello (v. Fig.1) è stata calcolatacon il metodo delle triangolazioni, cioè tracciando al suo interno una
rete di triangoli, in modo da ricoprire l’intera superficie. Dalla
somma delle singole aree dei triangoli sono state ottenute quelle dei piani. Queste
ultime, moltiplicate per 25 m, hanno fornito la stima dei loro volumi. La
somma dei singoli volumi ha dato il seguente risultato in metri cubi: 18.325
milioni di m3, che
rappresenta, nella suddetta approssimazione, una stima del volume totale del poggio della Pagana (a
gradoni). Esperimento dell’assorbimento dell’acqua piovana. E’
stata raccolta una certa quantità di tufo alla base del colle, con
granulometria naturale. 0,150
dm3 (litri) del campione, seccati in forno, pesavano 0,178 Kg. Il
campione posto in un imbuto con filtro, è stato impregnato d’acqua, a modo di
pioggia, e pesato di nuovo alla formazione della prima goccia. L’acqua
contenuta nel tufo soprassaturo ammontava a 0,050 dm3. Dopo
circa 24 ore il campione ha terminato di sgocciolare trattenendo il 70%
dell’acqua e cioè 0,035 dm3. Questo
valore rappresenta l’acqua di saturazione[2] del campione di tufo. Stima
dell’acqua di saturazione E’
possibile, ora estendere questo risultato all’intero volume stimato della
Pagana. Con
una proporzione si può calcolare la quantità (P) di pioggia che il poggio,
completamente asciutto e non pressato, trattiene per saturarsi: miliardi di dm3 18.325 P = 0,15 dm3 di tufo: 0,035 dm3 di acqua da cui
P = 428 m3 Questa quantità d’acqua può essere utilizzata dalle piante, ma non è disponibile
per le sorgenti. Considerazioni Se
il poggio è privo di vegetazione folta e di alberi ad alto fusto, anche durante
il periodo estivo rimarrà internamente umido. In
autunno e primavera, l’acqua piovana sposterà l’acqua di assorbimento che
andrà ad alimentare le sorgenti. Nel
caso di sorgenti perenni, però, si deve necessariamente ammettere che ci siano
della sacche d’acqua di riserva, trattenute da lastre di masso[3],
poggiate su un fondo di granito compatto. La Fig.2 mostra la probabile stratigrafia dei poggi dell’isola. Il
colore celeste rappresenta le ipotizzate sacche di riserva o falde freatiche[4].
Il
masso è il nome locale del granito friabile che sotto l’azione
degli agenti atmosferici genera il cosiddetto tufo. Quest’ultimo,
poi, viene trasformato in terreno agricolo dagli organismi vegetali e animali. Stima della quantità annuale di pioggia precipitata sulla Pagana Negli
ultimi sette anni, la quantità annuale di pioggia riversata sull’isola è
stata in media di 962 mm, cioè 962 dm3 (quasi una tonnellata) per m2. Nell’ipotesi che le
precipitazioni siano state non di forte intensità e dilazionate nel tempo, si
stima, considerando l’area di base della Pagana (373.000 m2), un
valore di: 0.962 x 373.000 = 358.800 m3 Una
quantità d’acqua quasi mille volte maggiore di quella necessaria per saturare
il poggio stesso, supposto asciutto e non compresso. La
maggior parte di questa acqua, però, potrebbe essere defluita in mare, perché
i versanti nord e ovest della Pagana sono molto scoscesi, con una pendenza media
del 40%. Ammettendo
che la quantità effettivamente assorbita e immagazzinata sia solo la decima
parte di quella precipitata, si avrebbe un valore di circa: 36.000 m3
(tonnellate).[5] Nell’ottobre
1947 e poi di nuovo nel dicembre 1986, le insistenti piogge causarono lo
svuotamento improvviso di una stessa polla
a ridosso del poggio del paese[6](circa
30 m più in basso). La grande massa d’acqua, liberata, provocò rovinose frane
lungo la ripida dorsale est dell’isola. La
fortunata formazione di queste riserve idriche naturali, all’interno dei
rilievi, è dovuta alla particolare origine geologica dell’isola. Formazione geologica dell’Isola del Giglio Recentemente[7]
alcuni ricercatori delle Università di Pisa e di Norwich (USA), tramite analisi
chimiche, petrografiche e radiometriche hanno individuato due diverse strutture
(facies) del granito gigliese. In
base a questi rilevamenti l’isola, riguardo alla sua composizione
mineralogica, è stata divisa quasi a metà, dal Capelrosso al Fenaio, secondo
un asse diretto a 20° NW. La
mappa geologica (Fig.3), tracciata dai suddetti ricercatori, illustra questi due
diversi tipi di granito, uno friabile, il masso,
e l’altro compatto e di ottima qualità. Questo
fatto era già noto agli scalpellini del luogo[8]. Solo
il promontorio del Franco, ad ovest ed una piccola porzione della punta del
Fenaio, a nord, sono costituiti da rocce sedimentarie, essenzialmente calcaree. Nella
pubblicazione di Nota 5, le due facies
del granito sono così descritte: 1) Facies
Pietrabona, a ovest, caratterizzata da un granito a struttura stratificata,
con un orientamento preferenziale lungo la direzione dei cristalli, talvolta
foliato (a scaglie), più colorato per una maggiore percentuale di cristalli di
biotite, con inclusioni di nastri di quarzo grezzo e di blocchetti di gneiss,
legati tra loro ad incastro (chiamati localmente “catene”), che, a detta degli scalpellini, sono più duri del
granito stesso (e rimangono attaccate al
pezzo durante la rifinitura). 2) Facies
Arenella, a est: il granito è più chiaro (povero in biotite), non foliato,
con una tessitura essenzialmente omogenea (quasi una struttura porfidica), con
grossi cristalli di feldspato e più ricco di calcio. I
ricercatori, inoltre, sono dell’opinione che questa seconda zona che forma la
costa est (Arenella, Torricella, ecc.) costituisca la massa interna
dell’intera isola. In
pieno accordo con quello che affermano i vecchi cavatori: “il granito migliore è quello che sta sotto, quello sopra, il masso, è
tutto marcio e ti si disfa nelle mani”. I
due graniti diversi per struttura e composizione hanno circa la stessa età. Misure
di radioattività indicano in media 5 milioni di anni (con una incertezza di
circa 70.000 anni, periodo molto breve in Geologia). Siamo, quindi, in presenza
di una roccia mista (migmalite),
costituita da una porzione di tipo gneissico-scistosa[9]ricca
di biotite (mica) e da una porzione avente la composizione chimica e
mineralogica di un granito (v. Fig.4 e Fig.5). I suddetti ricercatori affermano di non aver
osservato traccia alcuna di metamorfosi (marmo) nel calcare del promontorio del
Franco e concludono che queste rocce sedimentarie, durante la formazione
dell’isola, dovevano trovarsi ad una sufficiente altezza dalla massa magmatica[10]da
non aver subito trasformazioni strutturali, per azione del calore. Questo fatto
e la presenza delle due facies fanno
supporre che il granito dell’isola si sia formato, in fasi successive, da due
magmi di diversa origine.
Il
primo magna, prodotto dalla fusione delle rocce sedimentarie, costituite da
calcare e sabbia, che, in seguito al loro grande accumulo, cominciarono a
sprofondare lentamente. Il
secondo generato dalla fusione del mantello[11](v.
Fig.4) e che spinto verso l’alto, per la forte pressione dei gas, sviluppati
dal calore (acqua e anidride carbonica), si mescolò parzialmente al primo. Dopo
il lento raffreddamento della massa fusa, la futura isola di granito con uno
spesso zoccolo di basalto iniziò ad emergere, (Fig.6) sotto la spinta
fluidostatica del mantello. Contemporaneamente
il fondo del mare continuò ad abbassarsi[12]finché
le masse raggiunsero un equilibrio statico[13].
I
frammenti del tetto di rocce sedimentarie che copriva l’isola formano ora il
promontorio del Franco. In
seguito, per l’azione chimica e fisica degli agenti atmosferici il granito di
prima formazione si è sfaldato e sgretolato, formando terreno e cavità
sotterranee, pronte ad accogliere acqua piovana. Grazie
a questa sua particolare origine geologica. l’Isola del Giglio abbonda di
sorgenti La
pioggia, penetrando per gravità nel terreno, s’infiltra tra gli interstizi
granulari e le fratture del granito friabile (facies
Pietrabona) e dà inizio ad una circolazione idrica lungo il profilo della
superficie impermeabile sottostante, costituita dal granito compatto (facies Arenella). La
porzione di sottosuolo composto da detriti granitici imbevuti e da eventuali
cavità colme di acqua al di sopra della zona impermeabile costituisce una
riserva idrica, la falda
freatica. Quando
questa trova una via di comunicazione coll’esterno dà origine ad una
sorgente. Spesso,
si ritrovano delle sorgenti nei versanti, erosi, dei poggi (sorgenti
di versante), le cui acque fuoriescono delle catene che hanno spaccato le
lastre del granito di prima formazione. L’isola
è percorsa secondo la lunghezza da una dorsale, formate da sette poggi, che
raggiungono la vetta massima con quello della Pagana. A
ciascuno dei poggi dell’isola corrisponde una o più falde freatiche che
alimentano tutt’intorno ad una serie di sorgenti. Senza
considerare gli stillicidi, raccolti in piccoli pozzi negli orti, le sorgenti
sono più di quaranta[14]con portate che in media
variano da 30 a circa 400 l/h. La
portata di una sorgente dipende dal suo dislivello rispetto alla superficie
libera dell’acqua contenuta nelle polle
interne e, quindi, in definitiva dalle precipitazioni. Le
sorgenti perenni principali dell’isola, sono l’Acqua Selvaggia a 381 m, la
Felce a 270 m e la S.Giorgio a 220 m. Queste forniscono d’acqua potabile il
paese (Castello) e le località Campese e Porto rispettivamente.
Va
osservato che l’acqua piovana imbevendo lentamente il terreno e scorrendo
sulle rocce ne asporta i componenti in forma solubile e si arricchisce così di
sali minerali. Se
si pone in grafico la quota delle tre sorgenti in funzione del loro contenuto
salino (residu fisso) si ottiene la
Fig.7. Il residuo fisso viene misurato evaporando un nota quantità d’acqua,
prelevata alla sorgente, e pesando il solido rimasto, dopo averlo seccato in
stufa a 180°, per eliminare le sostanze che non sono dei minerali (v. Nota 16). Il
prolungamento della retta sulla quale si adattano i punti del grafico va ad
incontrare la quota di 500 m, cui corrisponde un contenuto salino nullo, che è
quello della pioggia. Quest’inaspettata
regolarità fa supporre che le tre sorgenti siano alimentate dalla stessa falda
acquifera. La
Fig.5 illustra l’ipotesi delle tre sorgenti collegate alla stessa falda
principale, situata sotto il poggio della Padana e questo perché scendendo di
quota sia le portate[15]che
il contenuto salino delle loro acque aumentano, come abbiamo visto. Il grafico[16]di
Fig.7 indica, inoltre, che le acque delle sorgenti dell’isola, che affiorano
sopra 350 m sono tutte delle oligominerali
naturali, con un residuo fisso minore di 200 milligrammi per litro (mg/l),
se alimentate dalla falda freatica della Pagana e dei Castellucci (v. più
avanti). La Bredici
Questa
sorgente, perenne, affiora ad una quota di soli 277 metri ed è situata più a
sud[17]di
quelle su menzionate. Tuttavia, il contenuto salino della sua acqua, pari a 183
mg/l, la classifica tra le oligominerali. Ciò
fa supporre che tale fonte, di proprietà privata, sia alimentata da una falda
freatica situata sotto il soprastante poggio dei Terneti, che ha un’altezza di
circa 388 metri. Fino
a qualche anno fa, era ancora attiva un’altra sorgente, detta di Mortoleto, ad
una cinquantina di metri più in alto di quella della Bredici. Conclusioni Queste
ultime osservazioni, l’accertata base granitica compatta del Giglio, e la
riscontrata dipendenza lineare del residuo fisso delle sorgenti Acqua Selvaggia,
Felce e S. Giorgio dalla loro quota di affioramento, rigettano definitivamente
qualsiasi peregrina ipotesi di un rifornimento idrico dell’isola da parte di
sorgenti aldilà del mare o da quest’ultimo stesso. Raccomandazioni Per
conservare questo prezioso bene dell’isola, è necessario mantenere i poggi il
più possibile privi di vegetazione e non permettere che gli alberi crescano
troppo alti e frondosi, perché queste verdi bellezze turistiche, finirebbero
col condannare i Gigliesi a dissetarsi con ‘acque morte’[18]contenute
in bottiglie di plastica.La sorgente Acqua dei Mori è secca, ma l’ombra che i
rigogliosi lecci, tutt’intorno, proiettano sulla strada è una piacevole frescura
nella calura estiva. La stessa sorte è accaduta alla sorgente La Casetta, che,
non molto tempo fa, forniva d’acqua il Franco, a causa degli imponenti pini da
rimboschimento, nonostante siano stati, ora, diradati. E’
necessario, inoltre, tenere pulite le pinete e le leccete, asportando le foglie
secche cadute e i detriti del sottobosco che impermeabilizzano il terreno, senza
aspettare che lo facciano, in un tempo estremamente lungo, gli organismi
demolitori. Il
bosco della Valle delle Docce[19],
rimasto inglobato nel parco dell’arcipelago toscano, sembra già leggermente
asfittico, con un evidente scolorimento delle chiome degli alberi. Inquinamento La
sorgente dell’Acqua Selvaggia è sita a 381 m sul livello del mare, in
direzione nord-ovest, e dista 600 m dal pozzo di raccolta dei liquami della
discarica comunale. Questo
pozzetto si trova al fondo di uno scivolo con una pendenza del 18% e ad una
quota di 361 m, in direzione est. Allorché
i liquidi di scolo raggiungono un determinato livello, questi vengono
automaticamente pompati in un depuratore posto alla quota di 278 m, in direzione
nord-ovest e distante 1,2 km dalla sorgente.
Quindi,
dato che la sorgente è alimentata per caduta di acqua e considerate la distanza
e la differenza di altitudine, 20 m, si può escludere qualsiasi possibilità
d’inquinamento, da parte della discarica. Non
va, inoltre, trascurata una eventuale barriera di granito compatto tra i due
siti, vedi Fig.3. Le
suddette direzioni sono relative al picco della Pagana. Le
altitudini, le posizioni e le distanze sono state rilevate con un ricevitore
satellitare, Garmin GPS III plus. Proprietà dell’Acqua Selvaggia. L’Acqua
Selvaggia, avendo un contenuto salino[20]minore
di 200 mg/l, è un’oligominerale naturale. I
paesani hanno da sempre usufruito di questa per bere e per lavare.
È qui interessante fare un confronto delle sue
proprietà chimiche e terapeutiche con quelle delle “decantate” acque
oligominerali che oggigiorno sono messe in commercio. Dal grafico di Fig.8
risulta che l’Acqua Selvaggia, la Vera e la Verna sono le più pure tra quelle
prese in considerazione, avendo un residuo di 162, 162 e 150 mg/l
rispettivamente. L’Acqua Selvaggia con la più bassa concentrazione di calcio
è anche la più leggera, presenta la più alta concentrazione di ioni
sodio, è la più ricca di sali di potassio (Fig.9) ed è l’unica che contenga
ioni ferro in quantità misurabili (0.17 mg/l, rispetto alle tracce delle
altre). Il grafico in Fig.10 infine mostra i
dati analitici dell’acidità espressa in unità di pH. Più i valori del pH
sono minori di 7 più acida è l’acqua. Per avere un termine di paragone è
stato preso in considerazione anche il valore del pH (circa 4, a 1 atm. e a 20°
C) di una soluzione acquosa satura di anidride carbonica.
Anche l’acqua piovana
in assenza di inquinanti è leggermente acida, con un pH pari a 5,4 a causa
della anidride carbonica disciolta. L’acidità
delle acque naturali dovuta all’anidride carbonica disciolta dipende dalla
temperatura e dalla quantità della carica salina. In quanto alle proprietà
terapeutiche, l’Acqua Selvaggia vince
il confronto con quelle prese in esame, perché oltre a svolgere un’azione
benefica nelle calcolosi renali, nelle diatesi uriche, nelle malattie
infiammatorie croniche delle vie urinarie e della pelle, azioni tipiche delle
oligominerali, per il suo più alto contenuto di ioni sodio, potassio e ferro
offre anche i seguenti vantaggi: un sapore più gradevole, una maggiore azione dissetante, un’azione digestiva, un’azione protettiva del fegato, una maggiore azione stimolante della peristalsi intestinale e dei muscoli in
generale, una maggiore azione fertilizzante per le piante (potassio). Le fonti sacre dell’isola Il Giglio è
probabilmente l’isola del Mediterraneo con la più alta densità di sorgenti
d’acqua dolce. Nel corso dei
secoli, alcune di quelle perenni e più copiose, furono dedicate a divinità
pagane. Le vestigia delle
loro fonti, ricostruite al computer compongono pregevoli architetture, che
contrastano fortemente con l’essenzialità spartana dell’antico abitato. La ragione di un
così gran numero di sorgenti è da ricercarsi, come abbiamo in precedenza
visto, nella particolare formazione geologica dell’isola. La fonte di
Barbarossa costruita sulla sorgente stessa, era probabilmente un Ninfeo,
tempietto dedicato alla Ninfe, molto in voga nel periodo classico e
rinascimentale. Quella di San
Giorgio, troppo raffinata per una semplice chiusa, poteva invece essere un Mitreo,
costruzione adibita al culto del dio Mitra, divinità che nell’antica Roma
godeva di un largo seguito tra la classe più elevata. Dalle enciclopedie
Treccani e Larousse: “…da una porta si accedeva ad un ambiente di
dimensioni piuttosto modeste coperto a volta, ove era la nicchia con il
simulacro; comunemente vi era fatta giungere l'acqua da una sorgente vicina, due
banchi affrontati accoglievano i fedeli per il banchetto sacro. Talvolta le
pareti interne erano decorate con mosaici e dipinti parietali”. La descrizione ben
si adatta al Mitreo del Giglio. Il corpo semicilindrico frontale, ospita
una cisterna che dal pavimento giunge fino allo sbocco del troppopieno ed è
separata dalla sala da una sorta di transetto chiuso. Figure di santi in
uno stile compendiario medioevale ricoprono le pitture originali sulle pareti.
Nella ricostruzione la volta e la nicchia, per semplicità, sono state lasciate
con il solo intonaco; la copertura doveva terminare con un tetto a due
spioventi, come nel Ninfeo. La piccola edicola, con strombatura a mo’
d’entrata, era chiusa da una lastra con un foro in alto per la penetrazione
del sole nel solstizio d’estate. Questo fascio di luce riflesso dall’acqua
della cisterna segnava l’inizio dei riti misterici dedicati a Mithra Deus
Sol Invictus. Il Mitraismo
si diffuse in tutto l’impero Romano, specie tra la fine del sec II e
l’inizio del IV. Le
cerimonie, che avvenivano in questi sacelli, comportavano un banchetto sacro,
nel quale s’immolavano bestie minute e si mangiava il pane e si beveva
l’acqua o il vino, secondo un rituale che presentava alcune analogie con
quello cristiano. L’organizzazione
dei fedeli, le caratteristiche di religione iniziatica, la complessità e
ricchezza della dottrina, legata alle idee di salvezza, di purificazione e
d’immortalità, rendono ragione dell’enorme diffusione del mitraismo, specie
tra i militari e la classe dominante.
Nerone si fece iniziare ai misteri di Mitra e così anche Commodo. L’imperatore
Aureliano (274) introdusse il culto ufficiale del dio Sole, identificato con
Mitra già in età babilonese. Diocleziano dedicò a Mitra un santuario (307
d.C.), “D(eo) S(oli) I(nvicto) M(ithrae) ...”. Lo
stesso Costantino (401) professò per lungo tempo il culto del Sole Invitto. Nella Fig.12, la
ricostruzione al computer del Mitreo di San Giorgio. 1. Volta 2. Parete laterale con pitture di Evangelisti 3. Nicchia, metà per vista interna 4. Edicola con foro d’entrata del sole 5. Sala dei fedeli 6. Vasca dell’acqua 7. Foro di troppopieno 8. Apertura di drenaggio Fonte Acqua Selvaggia Il corpo ottagonale regolare della chiusa ricorda un battistero
medievale, ispirato alla tradizione cristiana dell’ottavo giorno. La tecnica di costruzione, ad iniziare dai conci di granito mirabilmente squadrati,
è molto accurata. Dimensioni del solo corpo ottagonale: Altezza.= 5,4 m Spigolo di base = 2,10 m. Rapporto altezza/diametro = 1 Volume tot = 125 m3. La Bredici è alimentata da un’altra falda freatica [1] A 120 Km di distanza. [2] In altre parole,
più di tanto non ne prende! [3]Per
masso e granito compatto vedi più avanti. [4]Termine
scientifico per sacche o polle. [5]
Il consumo medio annuo d’acqua potabile: 62
tonnellate per famiglia residente (650 c.a.). [6]Ad
est del paese, in una località detta ‘sotto
i cannoni’, a circa 400 m. s.l.m. [7]D.
S. Westerman et alii, Mem. Soc. Geol. Ital., (1993), 49, 345-363. [8]Biblioteca
Riccardiana di Firenze, Ms. Pecci, (1760).75. [9]In
altri termine, granito che presenta blocchetti (catene) molto duri e lastre sottili. In genere le catene
spaccano i blocchi di granito,
perché sono meno sensibili agli sbalzi di temperatura. [10]Massa fusa di silicati ad
altissima temperatura, situata in profondità
nella crosta terrestre [11]Roccia
semifluida, più densa del basalto e del granito, su cui galleggiano le terre
emerse. [12]Questo
abbassamento fece emergere l’isola di Pianosa. [13]Teoria
isostatica di Airy. [14]
La più alta sorgente, di scarsa portata, detta dell’Orto
del Negra, si trova a 471 m sulla Pagana. [15]A.T.
Sala, Bollettino della Soc. Geog. Ital., serie VIII, vol. IV, 1951. [16]I dati sono stati rilevati
dai certificati di analisi, presso l’Ufficio Tecnico Comunale. [17] Coordinate UTM della
carta militare: 33 06 56881, 46 89354 [18]Perché
non contengono quelle particolari molecole organiche, derivate dall’humus, con
specifiche azioni curative. G. D’Ascenzio, M.D. Medicinae Doctor, N.24, 1998. [19]Così
chiamata perché, in passato, le sorgenti dell’Acqua dei Mori e dell’Acqua
Selvaggia vi si riversavano in continuazione, formando cascatelle (docce)
tra i massi. Oggi, porta l’insignificante nome di Valle del Dolce e senza
canne da zucchero. [20]I dati sono stati rilevati
dai certificati d’analisi, presso l’Ufficio Tecnico Comunale.
Tutti i diritti sono riservati © 2003 -
Giovanni e Gabriella
https://www.gigliese.it